Cassaintegrazione,parlano i dipendenti:"Il Torino non si è mai fatto sentire in questo periodo" - IL TORO SIAMO NOI
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Cassaintegrazione,parlano i dipendenti:”Il Torino non si è mai fatto sentire in questo periodo”

L’altra faccia del calcio che riparte. Alcuni dipendenti del Torino testimoniano la mancanza di contatti con il club granata e il mancato pagamento di alcuni stipendi. Il ricorso al sindacato ha sbloccato la situazione, ma l’evidenza di criticità strutturali è stata messa a nudo

La crisi economica dovuta alla pandemia e al lockdown ha colpito tutti i settori produttivi del Paese, calcio compreso. Questo mondo viene spesso rappresentato, in maniera monolitica, come un paradiso dorato che macina milioni di euro e viaggia su un binario a sé stante. Basta alzare il tappeto, però, per vedere la polvere che viene nascosta agli occhi dei non addetti ai lavori. L’emergenza sanitaria, ha squarciato il velo  e ha fatto emergere diverse criticità strutturali insite al mondo del calcio professionista.

Quello che sta succedendo al Torino è l’esempio più chiaro di quanto detto. La società granata ha dovuto, di recente, mettere in cassa integrazione 44 dipendenti delle giovanili. La crisi economica morde e a pagarne le conseguenze, come troppo spesso accade, sono i più deboli. Sarebbe sbagliato, però, limitare il problema alla sola dimensione Toro.

Le mancanze sono istituzionali e coinvolgono tutto il mondo del calcio professionistico italiano. Per farci spiegare meglio la situazione attuale, abbiamo ascoltato le parole di Alessandro Pagliero, delegato Cgil-Slc che si è occupato della questione, e di due dipendenti della Scuola calcio del Torino.

Queste le dichiarazioni di Pagliero: “La questione riguarda 88 lavoratori delle giovanili e dell’Academy del Torino. I lavoratori che prendono più di 50mila euro lordi annui e meno di 7.500 euro lordi annui, sono esclusi dalla cassa integrazione che invece coinvolge tutti gli altri. Il Torino è famoso per le attività che svolge con le giovanili. Questo settore, però, non porta entrate considerevoli. Per i dipendenti delle giovanili manca un contratto nazionale e, quindi, delle tutele.

Hanno un contratto di collaborazione sportiva che si rifà ad una vecchia legge degli anni ’80 e prevede che i pagamenti possano essere posticipati di tre mesi. Non c’è per forza, quindi, un pagamento mensile. Il problema è che a maggio ancora non erano arrivati i soldi di febbraio. Siamo stati contattati da quelle persone per cui il lavoro al Torino rappresenta l’unico reddito e si sono trovate in difficoltà. Dopo aver contattato la società, la dirigenza si è mostrata disponibile a trovare l’accordo per la cassa integrazione. Il 18 giugno arriverà la prima tranche degli stipendi mentre il 15 luglio la seconda. Maggio e giugno sono i mesi coinvolti nell’accordo di cassa integrazione e saranno pagati all’80% del salario intero. Dal lato sindacale sappiamo che a questo tipo di lavoratori mancano le tutele ma alle società professionistiche va bene così.

Il Torino è solo uno dei club ad avere problematiche di questo tipo. Se il CONI e tutte le parti in causa avranno voglia di discutere di un contratto nazionale, noi saremo disponibili. I soldi, nel calcio, gravitano in alto mentre in basso cadono le briciole. La Serie A ha una grande importanza nel nostro Paese, tutto il resto è secondario. Basti pensare al calcio femminile e alle calciatrici che non sono riconosciute come professioniste”.

Quello che emerge maggiormente è la delusione, dal punto di vista umano, per quel che riguarda il comportamento della società. Questo è quanto ci hanno raccontato: “Quello che è mancato in questi mesi è l’aspetto umano. Il Torino non si è mai fatto sentire durante il periodo del lockdown. Questo è quello che mi ha deluso maggiormente. Dal punto di vista economico, questo non è il mio primo lavoro e percepisco un rimborso spese. Ad un certo punto ci siamo accorti che questi soldi non arrivavano e allora abbiamo deciso di contattare la CGIL che si è attivata. Sono mancate le entrate per 2 o 3 mesi e alcuni di noi vivono di questo. La gestione dell’intera faccenda mi è sembrata da società di Serie C, è mancata la comunicazione e non abbiamo avuto nessuna tutela.

In tutto questo va anche considerato che Cairo è uno degli imprenditori più importanti in Italia, possiede due giornali e una televisione. Sembra ci sia l’idea che essendo al Torino e facendo una bellissima esperienza, uno debba accontentarsi un po’ di tutto ma l’impegno che ci mettiamo deve essere riconosciuto. Io sono al Toro da diversi anni. All’inizio della gestione Cairo si erano visti dei miglioramenti ma negli ultimi anni incominciavano a intravedersi delle problematiche come, per esempio, il pagamento in ritardo degli stipendi. Questa situazione ha fatto venire diversi nodi al pettine: non abbiamo potuto riprendere nessun tipo di attività sportiva perché i campi non sono di proprietà e, quindi, andrebbero pagati. Ai dipendenti che non rientravano nella cassa integrazione è stato pagato adesso il mese di marzo. La società, senza l’intervento del sindacato, non si sarebbe mai fatta sentire. Si diceva che il distanziamento avrebbe dovuto unirci, invece è successo che ognuno ha pensato a sé. Sono contento che, alla fine, questi problemi di gestione siano emersi”.



Queste le dichiarazione di un altro dipendente del Torino: “Ancora oggi tutte le informazioni che abbiamo le abbiamo ricevute dalla CGIL e non dalla società. Dopo che la questione è emersa sui giornali ci hanno scritto nelle chat whatsapp ma noi già ne eravamo a conoscenza e, tra l’altro, questa non si può considerare una comunicazione su un canale ufficiale. Chi percepisce meno dei 7.500 euro lordi annui si dice che prenda un rimborso spese. Questa definizione, però non tiene conto di tutte le responsabilità e l’impegno che uno ci mette. La cosa si è diffusa a macchia d’olio, soprattutto perché ci sono persone che con questo lavoro ci vivono e si sono ritrovate in crisi economica. Ci siamo sentiti traditi, io sono al Toro da molti anni e il nostro club è sempre stato grandioso dal punto di vista umano, è una cosa che ci ha sempre caratterizzati.

Non so cosa stia succedendo – se non che è in atto una rivoluzione societaria e molte teste stanno cadendo – ma sono molto deluso perché sono affezionato a questa società che è la mia vita. Il contratto a cui siamo legati è molto nebuloso e non ci concede nessuna tutela. La stessa cosa avviene in tutti i club professionisti, evidentemente lo status quo va bene alle società. Poi, però, ci lamentiamo delle falle nel sistema calcio italiano.

Se una figura come l’istruttore deve fare anche un altro lavoro è chiaro che non si possa dedicare al 100% su quel progetto, all’estero non funziona così. Tra le altre cose, a causa del nostro contratto, non abbiamo potuto accedere agli aiuti statali previsti a causa dell’emergenza Covid. Paradossalmente, i dilettanti hanno potuto accedervi mentre noi che siamo professionisti no. Siamo fantasmi in un sistema che macina milioni di euro. Per la prima volta in vita mia ho capito l’importanza di essere difesi dal sindacato“.

Fonte:footballnews24

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