Ecco quanto costerebbe l'acquisto dello Stadio Grande Torino - IL TORO SIAMO NOI
Ecco quanto costerebbe l'acquisto dello Stadio Grande Torino - IL TORO SIAMO NOI
Ecco quanto costerebbe l'acquisto dello Stadio Grande Torino - IL TORO SIAMO NOI

Ecco quanto costerebbe l’acquisto dello Stadio Grande Torino

Da quando la Juventus ha inaugurato lo Stadium nel 2011, si è riaccesa l’attenzione dell’opinione pubblica italiana sul tema degli impianti sportivi. Progetti e ipotesi si susseguono ormai ciclicamente, con pochi veri margini di concretezza ma con un buon livello di interesse che alimenta il dibattito.

A Torino, complici le storiche rivalità sportive ed economiche, il confronto fra Juve e Toro viaggia anche su questo binario. Il club granata ha faticosamente raggiunto il traguardo della ricostruzione dello storico Filadelfia, nel 2017, e l’attenzione della società guidata da Urbano Cairo si è, successivamente, spostata sulle strutture d’allenamento per le squadre giovanili.

Il nodo urbanistico e burocratico del “Robaldo”, ex centro sportivo del Nizza Millefonti, alle spalle del Mausoleo della Bela Rosin nella zona di Torino Sud, rimane in bilico dal 2016, quando il Torino FC si aggiudicò il bando per il recupero della struttura. Da quel momento, un passaggio di carte, progetti e approvazioni senza soluzione di continuità ha soltanto ribadito la prospettiva che i granata trasformino quell’area nel centro sportivo delle giovanili, ma la fatidica posa della prima pietra è ancora lontana.

Intanto, con la squadra che sul campo cerca di ambire a posizioni di vertice e qualificazioni alle competizioni europee, rimane sempre vivo il dibattito sullo stadio Olimpico e sulle opportunità presunte o fantasiose che lo riguardano.

L’ex stadio Comunale, inaugurato nel 1933 e oggi intitolato alla squadra del Grande Torino, è croce e delizia per club e tifosi: gestito in concessione dal Toro con un contratto decennale rinnovato nel 2015, svela tutte le criticità tipiche degli stadi posizionati nel limbo della proprietà comunale italiana. La manutenzione ordinaria affidata ai granata fa sì che venga fatto il minimo indispensabile per mantenere l’impianto in condizioni accettabili per lo svolgimento delle partite ufficiali. Ma tutto ciò che si potrebbe migliorare all’interno della struttura andrebbe deciso insieme al Comune di Torino, al quale competono gli oneri di manutenzione straordinaria ma anche, e soprattutto, l’ultima parola su innovazioni strutturali e di servizi.

Dunque, perché il Torino FC non compra lo stadio? Una domanda che si fanno in molti, e per la quale non c’è una sola risposta. È evidente che, dal punto di vista architettonico, l’ex Comunale sia difficilmente migliorabile dopo quanto fatto in occasione dei Giochi Olimpici Invernali 2006 (aggiunta del mini-terzo anello e della copertura, e prolungamento del primo anello verso il campo). Banalizzando, da un ovale non si può tirar fuori un rettangolo, e la ristrutturazione ottimale dovrebbe passare per la demolizione di gran parte dell’edificio (che è, però, almeno in linea teorica vincolato dalla Soprintendenza in alcune sue parti).

Esempi validi e recenti, su questo tema, si ritrovano nell’intervento sull’Anoeta, stadio della Real Sociedad, in Spagna, e in quello sul Friuli di Udine nei nostri confini: ex ovali trasformati in stadi con gradinate sui quattro lati del campo, ma sempre grazie alla demolizione e ricostruzione delle due curve e di parte delle tribune (a cui si aggiunge il futuro progetto sul Dall’Ara di Bologna, che prevede invece uno svuotamento e ricostruzione della cavea delle gradinate.

C’è poi il tema dei costi: il club granata potrebbe acquistare lo stadio dal Comune di Torino, ipotizzandone una valutazione certamente inferiore ai 10 milioni di euro (e prendendo a confronto i circa 5 milioni spesi dall’Atalanta per acquistare l’Atleti Azzurri d’Italia, o i 4,5 decisi come valutazione del vecchio Stadio Friuli). A questi si aggiungerebbero le spese per i lavori di ristrutturazione, per il cui metro di paragone si può considerare la forbice fra i 25 milioni di euro spesi a Udine e i 50 milioni spesi dalla Real Sociedad per l’Anoeta. Un investimento per il quale varrebbe la pena di impegnarsi, certo, ma a fronte di un’operazione coraggiosa con sguardo a medio-lungo termine da parte della società, e in presenza di un progetto serio e ragionato.

L’acquisto dello stadio permetterebbe di sfruttare al meglio i locali e le sale interne dell’impianto, mettendoli a disposizione di sponsor, conferenze e convegni su affitto giornaliero (con conseguenti introiti extra per la società) e su base continuativa. Discorso valido anche per l’inserimento di negozi o attività commerciali accessibili dall’esterno, ma sempre collegati all’impianto e al club: il famoso “stadio che vive 7 giorni su 7”, del quale spesso si sente parlare.

Senza comprare lo stadio, invece, i granata dovrebbero sviluppare quello che già c’è (tralasciando la terza opzione, cioé costruire un nuovo impianto in altra parte della città, ma con costi almeno dieci volte superiori) ma l’Olimpico attuale offrirebbe comunque ampi margini di miglioramento.

La possibilità di intervenire sull’antistadio è evidente: spazi che oggi rimangono quasi deserti, costellati solo da un paio di chioschi e incastrati fra i tornelli esterni e l’accesso vero e proprio alle gradinate, ma che si sviluppano per circa 12mila metri quadrati fra esterno Curva Maratona, Distinti e parte della Tribuna. Un’area che offrirebbe certamente molte opzioni migliorative.

Sarebbe fattibile? La risposta per ora è no, perché alla base di tutto c’è la stortura di fondo della condizione di proprietà “mista” dello stadio, che ci impone due domande: perché il Torino FC dovrebbe prendersi il rischio di prevedere interventi di miglioramento in uno stadio che (in fin dei conti) non è il suo? E perché, per contro, il Comune di Torino dovrebbe contribuire al miglioramento della struttura, se già ora ha un “inquilino” che la gestisce settimanalmente?

In queste due domande si riassume la situazione di storica impasse che ha bloccato qualunque intervento migliorativo sugli stadi italiani negli ultimi trent’anni. Una realtà regolata da un equilibrio fra convenienze e rischi impossibile da smuovere. A meno di (e Atalanta e Udinese lo dimostrano) assistere a un intervento decisivo del club, a livello economico e progettuale, che tolga volontariamente lo stadio dalle spalle della municipalità e lo trasformi in un impianto moderno con un futuro per sé e per la cittadinanza.

Oltre al vincolo complessivo sullo stadio, in particolare sulle porzioni originali (il secondo anello, la parte alta del primo anello e tutta la struttura esterna, con le grandi vetrate e il basamento attualmente dipinto in rosso), uno dei vincoli più curiosi presenti per lo stadio di Torino riguarda le fascine in legno del sottofondo del campo da gioco. Si trattava di un sistema di drenaggio rivoluzionario per gli anni Trenta (un esempio figurativo immediato può essere la rete a doghe di un qualunque letto delle nostre case) ma non è chiaro se e quante fascine siano ancora integre, oltre che per l’età, anche a causa dei lavori di ristrutturazione operati nel 2006. Si tratta, comunque, del vincolo principale che finora ha sempre impedito l’ulteriore abbassamento della quota del campo da gioco (più di quanto già fatto per le Olimpiadi Invernali).

Fonte Archistadia.it