Quel maledetto Lecce-Toro - IL TORO SIAMO NOI
Quel maledetto Lecce-Toro - IL TORO SIAMO NOI
Quel maledetto Lecce-Toro - IL TORO SIAMO NOI
Quel maledetto Lecce-Toro - IL TORO SIAMO NOI
Quel maledetto Lecce-Toro - IL TORO SIAMO NOI
Quel maledetto Lecce-Toro - IL TORO SIAMO NOI

Quel maledetto Lecce-Toro


Che ci si dovesse aspettare un’annata di sofferenza lo si era capito dall’estate. Le casse sociali continuavano a piangere così dopo tre mesi passati a smentire il presidente Gerbi e l’ad De Finis avviarono la smobilitazione: Corradini e Crippa, promessa arrivata un anno prima dal Pavia, furono ceduti al Napoli mentre Polster fu svenduto in Spagna. Tra i tifosi iniziava a serpeggiare il pessimismo mentre il tecnico Gigi Radice dovette forzatamente abbozzare anche perchè sul fronte acquisti l’arrivo di tre stranieri dal curriculum interessante aveva parzialmente soffocato le perplessità: gli attaccanti Luis Müller ed Haris Skoro ed il centrocampista Edu Marangon avrebbero dovuto garantire gol e divertimento. L’obiettivo era una salvezza tranquilla.

Ed invece a Lecce, il 25 giugno, va in onda il giorno degli addii: addio alla serie A dopo trent’anni e soprattutto addio ad una fetta di storia del Toro, che dopo tante salvezze anche fortunose cede alla malasorte ma anche ad errori di strategia e dà inizio ad una nuova pagina della sua tormentata storia, una pagina di umiliazioni e sconfitte in serie. Il Torino arriva all’ultima giornata al quart’ultimo posto a quota ventisette punti, con una lunghezza da recuperare sulla coppia Ascoli-Lazio ma è una lotta salvezza intricatissima perchè neppure Bologna, Cesena, Lecce e Verona a quota ventinove possono stare tranquilli. Il Toro giunge all’ultimo turno incredibilmente padrone del proprio destino: vincere a Lecce vorrebbe dire salvezza sicura in virtù di complessi calcoli di classifica avulsa perchè contemporaneamente si gioca Ascoli-Lazio ed un pareggio non basterebbe ai biancocelesti. Ma anche solo un pareggio in Puglia equivarrebbe alla retrocessione mentre al Lecce basta un punto ma una sconfitta significherebbe serio rischio spareggio.

Il Toro si presenta in formazione tipo ma il caldo infernale del “Via del Mare”, solo parzialmente mitigato dall’orario d’inizio tardo-pomeridiano (16.30) rende difficile la vita di chi deve fare la partita. I granata, nell’occasione in maglia bianca, infatti faticano ad entrare nel match ed alla mezz’ora vanno sotto per un colpo di testa di Paolo Benedetti. Al 60′ una punizione di Barbas (nella foto) sulla quale Marchegiani non è impeccabile fa calare il sipario: il Toro è in B, mentre per il Lecce è la prima storica salvezza in serie A. A nulla serve il gol su punizione di Fuser anche perchè poco dopo l’ennesimo errore difensivo della stagione, una goffa scivolata di Antonio Sabato, all’ultima partita in granata, permette a Ricardo Paciocco di chiudere i conti azionando la festa del tecnico giallorosso Carlo Mazzone. Il neo-presidente Borsano, al timone della società da poche settimane, piange amare lacrime come i tifosi che avevano seguito la squadra ed i tanti rimasti ad ascoltare la radio. I giocatori saranno presi a male parole sia all’aeroporto di Brindisi prima del ritorno a casa sia a Caselle. Il presidente promette immediata risalita ma è la fine di un’era. Ma come si era arrivati a quel punto?

La prima giornata fece segnare una rocambolesca sconfitta casalinga contro la Sampdoria. Per la prima vittoria bisogna aspettare la quinta giornata, la squadra non ingrana ma il 27 novembre il 3-1 in casa di una Roma dimezzata illude tutti: la doppietta del giovane Fuser sembra l’alba di un nuovo giorno granata e Radice, traballante fino al sabato, viene elogiato pubblicamente dalla dirigenza. Ma il primo giorno della svolta arriva il 4 dicembre 1988: la terza sconfitta su cinque trasferte costa incredibilmente il posto al tecnico dello scudetto. A Bologna (corsi e ricorsi…) finisce 2-0, il Toro non entra mai in partita ma la decisione sembra affrettata: che colpe può avere Radice se non quella di aver avallato un mercato discutibile? Radice lascia dopo aver conquistato appena sette punti in nove giornate: a sorpresa viene promosso dalla Berretti Claudio Sala perchè Aldo Agroppi, contattato dalla dirigenza, chiede uno stipendio troppo alto. La situazione non migliorerà di molto, anzi nelle venti partite sotto la gestione del “Poeta del gol” la media punti si abbasserà ulteriormente.

D’altronde puntare su un tecnico alla prima (che poi si sarebbe rivelata anche unica) esperienza da allenatore nel calcio dei grandi fu solo la mossa di una dirigenza senza idee e senza soldi: la voce del possibile ingresso in società dell’imprenditore Gianmauro Borsano si fa sempre più insistente e così la fine dell’inverno è segnata dai rumors sul futuro societario mentre sul campo la squadra scivola verso la serie B. Il problema vero è che i giovani, che avrebbero dovuto completare l’organico, ne diventano la spina dorsale: giocatori che sarebbero divenuti importanti in futuro, ma all’epoca inesperti, come Fuser o semplici comprimari come Brambati o il poi compianto Catena diventano titolari mentre i più esperti, da Ezio Rossi a Giacomo Ferri, non riescono a trascinare la squadra fuori dalle sabbie mobili ed il miglior giovane del vivaio, Gigi Lentini, è stato mandato in prestito ad Ancona. Alvise Zago, giovane ma assai promettente, merita un capitolo a parte. Il 22 gennaio la sconfitta ad Ascoli fa toccare il punto più basso, il Toro è ultimo in classifica ma il rendimento casalingo dei mesi successivi fa sperare: quattro vittorie su cinque tra febbraio ed aprile al Comunale mantengono la squadra in linea di galleggiamento sebbene il 19 febbraio sul Toro si fosse abbattuta l’ennesima sfortuna.

Prima di ritorno, trasferta in casa della Sampdoria: il Toro è in vantaggio grazie ad una rete al 15′ del giovane e promettente Alvise Zago, biondo numero dieci in possesso di tecnica e forza fisica ma dopo tre minuti c’è un terribile scontro aereo tra Zago ed il doriano Victor. Si vivono momenti di terrore per lo spagnolo, che rimane a terra privo di sensi, Zago invece è cosciente ma la sua gamba è distrutta: rottura completa dei legamenti del ginocchio, per il Toro un altro duro colpo, per il giocatore di fatto la fine della carriera a vent’anni. La ripresa agonistica sarà un calvario, Zago tornerà due anni dopo ma non sarà mai più lo stesso e dovrà accontentarsi di navigare nelle categorie inferiori.

Nel frattempo il rendimento esterno della squadra non migliora ed il tracollo di Napoli costa il posto a Sala: l’ultima mossa della società è affidarsi a Sergio Vatta, il mago delle giovanili. Ci sono cinque giornate a disposizione per recuperare un punto sulla quint’ultima: sembrerebbe un’impresa possibile anche perchè il calendario offre tre scontri diretti e la gara contro un’Inter ormai scudettata.

La sconfitta di Pisa ed il pareggio interno contro l’Ascoli però suonano da condanna: a tre giornate dalla fine la salvezza è a meno tre nonostante l’arrivo alla presidenza di Gianmauro Borsano, materializzatosi in aprile, sembri poter indurre all’ottimismo. Ma quando tutto sembra perso il cuore granata ha un sussulto e contro Como ed Inter arrivano quattro punti vitali: il 3-2 esterno sui lariani, seconda vittoria in trasferta in tutto il campionato, è bissata dall’incredibile successo contro un’Inter sì già Campione ma alla caccia di nuovi record seppur priva di Brehme e Matthaus. Polemiche e sospetti degli avversari percorrono il post-partita ma per il Toro non è ancora fatta: si va a Lecce carichi di speranze, si tornerà con gli occhi rossi e per chi scrive con un alluce incrinato,causa calcio contro il letto scagliato con vera incazzatura a tinte granata.