Vittorio Feltri traccia un ritratto di Cairo:"È patologicamente permaloso..." - IL TORO SIAMO NOI
Vittorio Feltri traccia un ritratto di Cairo:"È patologicamente permaloso..." - IL TORO SIAMO NOI

Vittorio Feltri traccia un ritratto di Cairo:”È patologicamente permaloso…”

Su Libero, Vittorio Feltri traccia un profilo del presidente del Torino, Urbano Cairo. Uno che sa giocare di anticipo, sia nel mondo del calcio che in quello dell’editoria. Ha preso esempio da Berlusconi, il suo maestro, ma a differenza del Cavaliere, Cairo si espone poco, non spende ed è permaloso.

“Ho già scritto più volte, con ammirazione, che Urbano Cairo è uno che non sbaglia un colpo“.

Ha avuto come maestro Silvio Berlusconi e questo conta. Cairo iniziò alla sua corte, come pubblicitario.

“Quando era studente alla Bocconi, chiamò Edilnord e chiese del Cavaliere. La segretaria non glielo passò. Richiamò e disse: «Ho due idee eccezionali, se non le posso spiegare al dottor Berlusconi lei rischia di fargli un danno». Ottenne un appuntamento con Dell’Utri e infine con Silvio. Le due idee erano «informazione» e «interconnessione». Berlusconi gli rispose che le aveva già avute lui, ma il ragazzo gli piacque e lo volle al suo fianco. Per tenerlo «basso», lo chiamava «aspirante assistente»”.

Feltri continua:

“Apparire gli piace poco, concede poche interviste, parla malvolentieri e per filosofia preferisce fare cose e lasciare che si annuncino da sé. E poi non è per niente prodigo, mentre, come si sa, la politica è un fondo perduto di uscite finanziarie. Attento anche alla cancelleria, ha lanciato un intero gruppo di settimanali popolari ed è riuscito nell’impresa di risanare il Corriere. Quando, dopo aver acquistato La7 nel 2013, diede uno sguardo ai conti, gli prese un colpo vedendo che i taxi erano costati 500.000 euro nel solo anno precedente. L’emittente perdeva 100 milioni l’anno: «Mentre mi lavavo le mani in bagno ho pensato: ci ho messo un minuto, ho perso mille euro». Otto mesi dopo era in pareggio. Quando nel 2016 prese il controllo di RCS, avocò a sé tutte le deleghe: «Quando esce un euro, voglio sapere esattamente perché e come»”.

Cairo è molto parsimonioso. Feltri scrive:

“perfino io ho fatto le spese della sua scaltrezza e attenzione alla moneta: nel 1994 lui era a capo della pubblicità Mondadori io dirigevo Il Giornale. Raddoppiai le vendite e, ovviamente, bussai a quattrini alla sua porta. Mi rispose: «Non ti do una lira». Litigammo ma non ci fu niente da fare. Cinque anni dopo fondai Libero, che non navigava in acque calme, e con Urbano avviai un negoziato per averlo in società, al termine del quale venne stabilito che io avrei sborsato 200 milioni di lire per rifinanziare l’attività. Lo feci, ma di quei soldi persi ogni traccia, e anche di lui. Da allora l’ho rincontrato varie volte, ci siamo parlati sempre amichevolmente, ma quei denari, che avrei voluto indietro, non erano mai con lui”.

Cairo ha anche dei difetti, però.

“è patologicamente permaloso, si arrabbia anche quando gli si dice che è spettinato“.

“Ogni grande uomo ha qualche debolezza: per esempio, Urbano ama essere ossequiato, quando passa bisogna usare il turibolo e aspergere d’incenso la via sulla quale cammina (ecco, adesso mi toglierà il saluto di nuovo)”.

Nel calcio “è di un’astuzia ferina nel trasformare in virtù l’abissale distanza che corre fra la sua mano e la tasca che custodisce il portafogli”.

“I due peggiori nemici di un buon amministratore sono la fretta e la paura, e Cairo, che è forse il miglior amministratore italiano, non è affetto da nessuno dei due”.  

Da quando c’è lui alla guida del Torino, i granata hanno iniziato a non soffrire più e a guardare verso l’alto della classifica.

Feltri continua:

“Cairo è così, punta sul rischio più calcolato e non lo fa vedere a nessuno, è paziente e accorto, quindi alla fine sembra un miracolista. Ma in realtà il talento che gli permette di sfruttare tutti gli altri talenti che ha è la freddezza, unita al senso pratico, forse dovuto a tutte le estati passate a raccogliere barbabietole con il nonno e lo zio: «Ho sempre sognato di prendere il Torino, ma non ho mai sognato di prendere il Real Madrid»”.

La sua filosofia si basa su due principi: “giocare d’anticipo, cioè puntare sui giovani, e non rincorrere il colpo di scena“, con buona pace della curva granata che vorrebbe vedere la squadra “in testa alla classifica della A, almeno ai quarti in Champions e fare cinque gol a partita“.

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