Giampaolo:"Testa alta e giocare a calcio".Sacchi:"È un maestro di calcio" - IL TORO SIAMO NOI
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Giampaolo:"Testa alta e giocare a calcio".Sacchi:"È un maestro di calcio" - IL TORO SIAMO NOI
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Giampaolo:"Testa alta e giocare a calcio".Sacchi:"È un maestro di calcio" - IL TORO SIAMO NOI

Giampaolo:”Testa alta e giocare a calcio”.Sacchi:”È un maestro di calcio”

Possesso, verticalità, imprevedibilità, tecnica. Con il calcio di Marco Giampaolo è difficile annoiarsi, quasi impossibile se sul piatto della bilancia vengono messi gli anni trascorsi ad Empoli e a Genova (sponda Sampdoria), certamente i picchi di una carriera che ha conosciuto dei saliscendi irrefrenabili.

Quando nel 2019 il nuovo Milan di Elliott – con Paolo Maldini e Zvonimir Boban al timone – lo scelse per la panchina tutti erano d’accordo nel porre un grosso punto interrogativo sulla bontà di una mossa che sapeva tanto d’azzardo: il ‘Diavolo’ si apprestava a vivere l’ennesima rivoluzione, non solo tecnica ma anche filosofica.

La filosofia di Giampaolo è nota a tutti i cultori del bel calcio, ma i dubbi che le sue idee potessero attecchire anche in una società desiderosa di tornare fin da subito ai massimi livelli erano comunque tanti.

Dunque, in un movimento che predilige la fretta rispetto alla progettualità, ecco Giampaolo firmare con il Milan: due anni di contratto e opzione di rinnovo fino al 2022, lasso temporale in cui avrebbe dovuto porre le basi per la costruzione di una squadra vincente, risultato da raggiungere attraverso la messa in atto di una miriade di nozioni tattiche che gli sono valse il soprannome di ‘Maestro’. 

Un appellativo che in realtà è stato coniato niente di meno che da Arrigo Sacchi, uno che a Milanello ha lasciato un ‘discreto’ ricordo: con un’investitura del genere era lecito aspettarsi tanto dal Milan di Giampaolo, apripista di una nuova concezione del calcio che affascina sempre più gli addetti ai lavori e i tifosi. Le sue intenzioni vennero a galla fin dai primi attimi rossoneri nel corso della conferenza stampa di presentazione: alla domanda su quale fosse il suo slogan, la risposta fu esplicativa.

“Lo slogan di Conte è ‘testa bassa e pedalare’? Il mio allora è ‘testa alta e giocare a calcio'”.

La fatica intesa come atletismo puro, contrapposta ad uno stile più diretto e meno dispendioso: due modi diversi di pensare il calcio, quasi agli antipodi per certi versi. Per fare una rivoluzione serve però tempo, quello che Giampaolo non ha mai avuto: eppure, almeno nelle amichevoli estive, già si intravedeva una sorta di rottura con il passato che faceva ben sperare milioni di tifosi reduci da anni di vacche magrissime, come poche volte era capitato nella storia del Milan.

Incantesimo rotto con l’inizio del campionato che riporta tutti con i piedi per terra: Milan di scena ad Udine dove gioca una partita pessima, resa amara dal goal di Rodrigo Becao che macchia l’esordio di Giampaolo in maniera indelebile. Gli sprazzi di bel calcio visti in gare senza i tre punti in palio, all’improvviso, si dematerializzano lasciando solo il sentore di ancora mille ostacoli da superare per tagliare finalmente la linea del traguardo, divenuta un miraggio col passare delle settimane e delle partite.

Impressione confermata alla seconda uscita col Brescia nonostante una vittoria risicata, accentuata dai tre ko di fila contro Inter, Torino e Fiorentina: Milan in balia del disordine di una tattica non assimilata a dovere, rivelatasi un boomerang che torna indietro colpendo la testa anziché finire dritto tra le mani del lanciatore. Tre schiaffi che instillano il seme del dubbio nella mente dei dirigenti rossoneri: Giampaolo sarà per caso l’uomo sbagliato arrivato nel momento sbagliato?

Così la sfida del ‘Ferraris’ – riecco Genova nel destino – contro il Genoa diventa decisiva: il Milan vince 2-1 ma stenta clamorosamente e solo un guizzo di Reina in pieno recupero impedisce a Schöne di siglare il pari su calcio di rigore. Troppa, tanta fatica per portare a casa un risultato che sa quasi di sconfitta, una vittoria mutilata che Giampaolo paga a caro prezzo con l’esonero dopo neanche quattro mesi di lavoro.

Quattro mesi in cui non è riuscito a trasferire le proprie idee sul terreno di gioco, quattro mesi di studio intenso sfociato in un rendimento non all’altezza: il Milan di Giampaolo non sembrava affatto una squadra allenata dal ‘Maestro’ ma, piuttosto, un’accozzaglia di individualità senza una meta.

Il periodo da disoccupato potrebbe presto concludersi: il Torino è da tempo sulle sue tracce e le ultime indiscrezioni parlano di un biennale proposto da Cairo, alla ricerca a sua volta di una guida forte a cui affidare i granata dopo il piccolo interregno targato Moreno Longo, che a fine stagione saluterà dopo aver risposto presente e salvato Belotti e compagni da una retrocessione che un anno fa pareva un esito non ipotizzabile.

Se Giampaolo sarà o meno l’uomo giusto a cui consegnare le chiavi della ricostruzione del ‘Toro’ lo sapremo solo vivendo: con la speranza che, stavolta, abbia più chance per confermare quanto di buono era stato detto sul suo conto.  D’altronde nemmeno la gloriosa Rom