La Stampa,il nipote di Pianelli:"Mi piacerebbe una carica simbolica" - IL TORO SIAMO NOI
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La Stampa,il nipote di Pianelli:"Mi piacerebbe una carica simbolica" - IL TORO SIAMO NOI

La Stampa,il nipote di Pianelli:”Mi piacerebbe una carica simbolica”

«Abbiamo vinto! Arrivò urlando mamma. Dalla finestra vidi una marea di gente far festa sotto casa in corso Trieste, al Fante». È questo l’unico flash scudetto da parte di George Garbero Pianelli. Troppo piccolo, aveva 3 anni, per ricordare il trionfo del 1976, ma pure il suo sequestro l’anno dopo durato 24 giorni, sbloccato dopo il pagamento di 1.5 milioni di lire. Adesso però il nipote dello storico patron granata Orfeo Pianelli – figlio di Cristina – mette insieme il puzzle di emozioni costruito insieme al Toro di quegli anni.

George lo fa da Bruxelles, dove vive e lavora da tanti anni, anche con l’orgoglio di chi dopo due anni e mezzo di scartoffie burocratiche ha appena ottenuto l’accoppiamento di Garbero con Pianelli: «Un bel regalo alla famiglia». Così lo storico cognome non sparirà, ma sarà portato dai suoi figli Jack e Luca, entrambi battezzati a Superga. Anche se le sue battaglie non sono finite: c’è un giardinetto dedicato al nonno vicino allo stadio che aspetta da tempo l’inaugurazione.  

«I calciatori di allora erano come fratelli grandi – le parole del nipote di Pianelli -, le domeniche si cenava tutti insieme nella sede di corso Vittorio con i tortellini in brodo, il piatto preferito del nonno. E poi noi bambini giocavamo a calcio nel giardino con loro». Un Toro che affondava le radici nella capacità imprenditoriale del mantovano Pianelli, arrivato a Torino a 16 anni: prima muratore a Grugliasco, poi elettricista, infine imprenditore.

L’incontro con Giovanni Traversa fu decisivo: i due aprirono una società in un capannone di via Monte Asolone, quasi subito troppo piccolo per il lavoro che aumentava. «Gli stessi principi della sua azienda valevano per il calcio – ancora George Garbero Pianelli -, uno dei pochi strappi alla regola fu l’acquisto di Sala. Casa nostra era aperta a tutti, “io sono cresciuto come operaio, la mia famiglia è la loro”, diceva sempre. Facevamo una vita da club inglese: il Toro vincente nacque così, era una grande gruppo e fino all’ultimo dei suoi giorni gli stette vicino. Indimenticabili anche le figure di Beppe Bonetto e Giuseppe Navone».  

Sincero, forte, determinato: il carattere di Pianelli fu quello del Toro in campo. «“Se mettessi gli occhiali, faresti ancora più gol”, disse una volta, probabilmente a Graziani». Il patron ci metteva sempre la faccia, sia per stanare calciatori in libera uscita, «li andava a prendere in discoteca per le orecchie», sia quando le cose cominciarono a peggiorare. «Una volta per difendere Radice tirò dell’acqua ai tifosi – ricorda il nipote -, un’altra in piena contestazione tornò a casa senza paura. Ero in macchina con lui, ce la distrussero. Il suo più grande rammarico fu lo scudetto perso l’anno dopo, ma lo vidi piangere solo una volta, quando cedette il Toro. Prima di farlo lo disse a Pulici, gli aveva promesso che con lui sarebbe sempre stato granata».

Nell’estate del 1982 l’Italia diventò Campione del Mondo, ma il Toro il suo mondo l’aveva appena perso. C’è ancora un Pianelli in circolazione, troppo tardi? «Il patron Cairo l’ho visto due volte – dice -, mi regalò il seggiolino del Filadelfia, io gli ho comprato il Pennone dello scudetto. Ho sempre dato grande apertura, anche solo per una carica simbolica». 

Di F.Manassero


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