Il pensiero di un tifoso:”Essere del Toro è speciale…”
Essere del Toro è “speciale”.
Quante volte ce lo hanno ripetuto?
Ho perso il conto, credo che anche voi avrete qualche difficoltà a riguardo.
Quindi è vero? Essere del Toro è “speciale”? Noi siamo “speciali” ?
Quando ero ragazzino nemmeno mi ponevo la domanda: la fede, quella vera, quella cieca, quella che non si discute.
Il Toro è speciale, lo siamo anche noi: nessun dubbio a riguardo.
Ero una specie di chierichetto laico, pronto per insegnare catechismo granata a chiunque me lo chiedesse.
Il Toro era un dogma assoluto, da vivere in modo manicheo: c’è chi è nel giusto, cioè noi, e chi sbaglia, e cioè gli altri…fine.
Non avevo la barba perché nella pubertà ne ero sprovvisto (e comunque in quegli anni gli Hipster venivano chiamati col loro nome, e cioè barboni benestanti finto trasandati), ma sarei stato un perfetto talebano.
Quando cresci però, la fede tende ad abbandonarti: è quasi fisiologico.
Finisci con l’andare allo stadio come i tuoi genitori vanno in chiesa, in pratica è un’abitudine.
Ripeti la liturgia a memoria, le frasi iniziano a perdere di significato, ti metti al fondo per uscire rapidamente, magari anche prima della benedizione, così eviti il traffico.
I colori tendono a smorzarsi, ad affievolirsi, e quello che ti appariva fantastico diventa pian piano ordinario.
La magia svanisce e ti chiedi come mai.
Ti dai tutta una serie di risposte razionali, inesorabili come una ghigliottina che cala una volta dopo l’altra: “tac…tac…tac”
Provi ad auto contestarti ma non c’è nulla da fare: sono tutte inappuntabili.
L’omologazione è lì, ti ingoia piano piano, e non puoi farci nulla o quasi.
Inizi a non andare più in chiesa o frequentarla saltuariamente, non reciti più le tue preghiere laiche, anche perché non le ascolta più nessuno, e diventi uno di quei “vecchi dentro” insopportabili , che giuravi non saresti diventato mai.
Pensavi di essere speciale ed invece sei l’ultimo degli stronzi: triste.
Quindi? Tutto qua?
In realtà no….
C’è qualcosa che non torna: forse il problema non è il Toro, ma siamo noi.
Qualcosa di speciale il Toro lo ha sempre avuto, e quando parlo di Toro non lo faccio come società (ne abbiamo avute di indegne, compresa quella attuale) ma come entità più globale.
C’era qualcosa che ci contraddistingueva, che ci dava la convinzione di essere “più” di qualcun altro, e non poteva essere solo la retorica stantia post Superga.
Sapete cos’era?
La memoria.
Chinque vivesse il Toro doveva farci i conti, nel bene e nel male.
Nella memoria tutti noi potevamo e possiamo tutt’ora rifugiarci quando ci sentiamo tristi (ed accade molto spesso) o quando dobbiamo trarre forza per guardare al futuro.
Chi è del Toro sa cosa vuol dire avere memoria, conoscere la storia, averne profondo rispetto.
Chi è del Toro da sempre e per sempre dovrebbe riuscire a trasmettere tutto questo a chi qui è solo di passaggio, a chi entra in campo o siede in panchina avendo paura anche della propria ombra, anche a chi ci ha scambiato per un condominio da amministrare.
La memoria poi, non va mai volutamente distorta: non si fa, è peccato mortale, si incorre nella scomunica.
Noi non siamo mai stati “questa roba qua” come qualcuno si premura di ripetere ad ogni piccolo o grande fallimento.
Non siamo mai stati una curva che applaude le sconfitte o festeggia a comando.
Non siamo mai stati una realtà mediocre che rinunciava a giocare.
Casa nostra non è mai stata terra di conquista per nessuno.
Siamo dei falliti, sportivamente parlando e non, questo l’ho scritto e lo ribadisco con forza, ma non siamo nati falliti: ci hanno convinto di esserlo, instillandoci un giorno dopo l’altro tutta una serie di dubbi, limando le nostre piccole certezze, distorcendo un pezzetto di realtà dopo l’altro.
In tutto questo appiattimento di valori, questo uniformarsi, questo imborghesirsi, c’è una cosa che riesce ancora a farmi star bene, a volte anche a commuovermi: quando cammini per strada, ovunque tu sia, se hai qualcosa del Toro addosso, qualcun altro “dei nostri” lo trovi sempre…
Allora scattano i saluti, i complimenti reciproci, le pacche sulle spalle, gli ammiccamenti…se incontri qualche bambino con la maglietta di un calciatore venduto da Cairo solo due mesi prima, anche la carezza consolatoria.
È una specie di mutua solidarietà fra derelitti.
Conoscete altri a cui accada? I gobbi al massimo si vergognano e vengono guardati con scherno e rabbia.
Questo sì che è “speciale”.
Allora mi domando: se lo siamo nei piccoli gesti possiamo tornare ad esserlo per tutto il resto.
Sta soltanto a noi, nessun altro lo farà mai al posto nostro.
Proviamo a far rispettare di più i nostri diritti, iniziamo a non berci più ogni cazzata che presidenti, allenatori e giocatori ci propinano quotidianamente, smettiamola di aver paura di fallire, perché è come aver paura di morire: inutile e controproducente.
Il Torino FC può tornare ad essere Toro?
Non lo so, ma possiamo tornare ad esserlo noi, e sarebbe già tanta tanta roba.
Ah, un grazie sentito a chi ha avuto la pazienza di arrivare alla fine: siete belle persone.
Ernesto B.