Dov’è finito il mio Toro
Il pensiero di Massimo Gramellini sul Corriere di Torino post derby nel nuovo Granata da legare.
Sono arrabbiato, ma non capisco con chi. Con tutti, credo. A cominciare da me, che ogni volta mi illudo sia quella buona. Ce l’ho con chi, anche nel calcio, ha allargato il divario tra ricchi e poveri oltre il limite della decenza: ma che derby emozionante ci potrà mai essere, se una loro riserva, Bernardeschi, è costata più di Iago, Belotti, Niang e Ljajc insieme? Poi però mi ricordo che, quando ribaltammo uno 0 a 2 in tre minuti, la Juve schierava Platini e Boniek, noi Bonesso e Torrisi. Eravamo più scarsi anche allora. La differenza è che non avevamo paura. Adesso entriamo in campo con in testa un compitino che salta per aria appena si prende un gol. A quel punto dovrebbe montare la rabbia e partire la remuntada, quindici minuti di cuore e nervi in cui il più debole stringe alle corde il più forte, fino a stordirlo di cazzotti. Invece la paura di perdere — un tempo prerogativa dei pigiami — si impossessa dei nostri. E si va avanti per ore con la gnagnera dei passaggi laterali, in attesa di sbocchi improbabili, specie se l’unico capace di crearli lo tieni ad assiderarsi in panchina.
P.S Un fratello di virus mi racconta che, uscendo dallo stadio a testa bassa, ha visto per terra un anello nuziale con inciso sopra il nome di una certa Silvana e lo ha consegnato alla sicurezza. Vorrei tanto trovarvi un significato. Qualcuno aveva perso la fede, c’è da capirlo. Però qualcun altro l’ha già ritrovata, ed è ciò che conta. Per non cadere in depressione post-derby e ricominciare subito a vincere.