Lettera aperta ad Urbano Cairo - IL TORO SIAMO NOI
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Lettera aperta ad Urbano Cairo

Caro Presidente,
vorrei scriverle per chiederle, gentilmente, di dimettersi dalla carica che occupa all’interno del Torino F.C.. Questa mia malcelata richiesta piena di rabbia e rancore non deve trarla in inganno: non lo faccio perché sono arrabbiato per la sconfitta di ieri o per quelle precedenti. D’altronde, perdere in casa di questa Inter, di una squadra che è arrivata pochi mesi fa in finale di Europa League, ci può stare. Come, tappandosi il naso, ci possono stare anche le sconfitte contro la Lazio, il Cagliari, l’Atalanta e la Fiorentina. Il problema, caro Presidente, è che quest’anno lei ci farà retrocedere in serie B e non avrà più i mezzi né la voglia di evitare questa fine, che a me pare davvero ingloriosa e obiettivamente ingiusta. Sarò di parte, caro Presidente, ma credo fortemente che il Torino si meriti qualcosa di più di misere salvezze ottenute all’ultima giornata di campionato, o di stagioni trascorse anonimamente a metà classifica, interrotte soltanto da due fortuite qualificazioni in Europa solo grazie a fallimenti e rinunce di chi ci precedeva in classifica.

Caro Presidente, lei prometteva pochi anni fa che entro il 2021 (e ci siamo, perché il campionato è questo) ci avrebbe portato in “Champions League”, neanche in Europa, bensì in Champions. “Voglio sentire la musichetta della Champions”, “Mi ispiro al Grande Torino di Ferruccio Novo”, “Ho allestito il miglior Torino degli ultimi 40 anni” (quest’ultima scriteriata affermazione poi saggiamente corretta a “ultimi 30”, anche se anche ciò è distante dalla realtà come il giorno con la notte). Ma vede, caro Presidente, da un personaggio come lei, nativo di Alessandria e dichiarato tifoso milanista, io penso che non ci si possa neanche aspettare qualcosa di più di questa misera sciatteria. D’altronde lei, come i tifosi ‘millenial’ che la difendono e come chi continua a dirci frasi del tipo “Ma cosa pretendete di più? Siete solo il Torino” oppure “Senza Cairo saremmo ancora in serie B”, evidentemente non conosce la vera storia del Torino. Ma non andiamo a tirare in ballo le leggende strappalacrime del Grande Torino degli anni ’40, degli Invicibili, dei 10 nazionali in campo su 11, di Gigi Meroni e dell’ultima maglia scudettata del ’76. A me basta ricordare cos’era il Toro quando io ero un ragazzo, ovvero negli anni ’80 e ’90. Sa, signor Presidente, anche allora si masticava l’amaro sapore delle sconfitte, delle delusioni, delle amarezze e perfino delle retrocessioni.

Io l’ho vissuta per la prima volta in vita mia già nel 1989, alla fine di un decennio dove il Toro diceva sempre la sua sia nel campionato italiano che nelle competizioni europee. La più brutta, però, è stata quella del 1996, perché quest’ultima è stata quella che ha segnato l’inizio di quel periodo buio, nel quale onestamente ci siamo ancora dentro. Ma nonostante questo, caro Presidente, in quegli anni ci sono stati anche momenti che a raccontarglierli, molto probabilmente non mi crederà (ma può controllare sui vari siti internet se vuole): un secondo posto in campionato alle spalle dell’Hellas Verona (con noi unica squadra a vincere in casa loro), un terzo posto nei primi anni Novanta, una Coppa Italia alzata in alto sotto il cielo di Roma, svariati derby contro la squadra di Venaria Reale alla quale dimostravamo sempre chi era la prima squadra cittadina, l’essere riusciti a eliminare (in uno stadio tutto pieno registrando il record di presenze) in Coppa niente meno che il Real Madrid (sì, sta leggendo bene: proprio il Real Madrid di Bujo, Chendo, Rocha, Hierro, Butraghegno e Hugo Sanchez) e una finale di Uefa non vinta, ma nemmeno persa, contro l’Ajax, con il 2-2 a Torino e uno 0-0 in Olanda con pali e traverse che stanno ancora tremando adesso. Vede, caro Presidente, il Torino è una squadra che è caduta in basso ma è sempre stata capace di rialzarsi e tornare presto a essere protagonista in quel Calcio di cui è stato sicuramente protagonista fin dagli albori. Con tutto il rispetto, noi non siamo la Pro Vercelli, il Casale o la Novese, noi non siamo una squadra che ha fatto il suo tempo nell’era di un calcio che ormai non c’è più. Noi siamo la sesta tifoseria d’Italia, una piazza calda e innamorata come ce ne sono ancora poche in questo calcio ormai sempre più asettico e dominato dalle pay-TV e dalle partite viste dai salotti di casa. Credo davvero che la mia squadra, e soprattutto la mia tifoseria, si meriti qualcosa di più di semplici e banali “ma cosa pretendete di più?”, “se non ci fosse Cairo saremmo in serie B” e delle sue prese in giro quando parla di “Champions League” o fa paragoni con un passato che non dovrebbe manco nominare. Vede, caro Presidente, i suoi “giornalai” – e dico giornalai con tutto il rispetto per chi si alza alla mattina alle quattro per aprire e gestire delle edicole – quelli che scrivono sui Suoi giornali, di sua proprietà, e che la incensano come “miglior imprenditore dell’anno”, e che continuano a difendere questa situazione, che negano l’evidenza, che continuano a celebrare il suo operato, la sua figura e soprattutto il suo lavoro in questi ormai lunghi 15 anni, omettono però, oltre alla verità, realtà scomode, come nelle peggiori propagande di regime: la retrocessione del 2008, i tre anni di serie B vissuti prima del 2012, le umiliazioni nelle stracittadine, il lento smarrimento dell’entusiasmo, l’apatia che vive il tifoso medio, la rassegnazione sempre più evidente verso la retrocessione a cui andremo incontro fra qualche mese. Quella stessa che abbiamo evitato solo pochi mesi fa, ma che a ‘sto giro niente ce la potrà scansare. Non andremo in serie B perché ieri abbiamo perso 4-2 a Milano, o perché il gioco di Giampaolo non è ancora stato capito dai ragazzi, o perché i poteri forti remano contro di lei. Andremo in serie B, e giustamente, perché chi passa dall’avere in squadra giocatori come Immobile, Quagliarella, Cerci, Darmian, Glik, Ljaljc, Bruno Peres, ecc. ad avere gente come Zaza, Rincon, Meité, Vojvoda, Rodriguez, ecc. merita di andare in serie B. Chi ogni estate smantella quanto fatto di buono, vendendo i pezzi pregiati e imbastendo lente ed estenuanti trattative di calciomercato che puntualmente si risolvono solo all’ultima giornata di mercato con l’arrivo di scarti di altre squadre, merita di andare in serie B. Chi fa il presidente di un club solo per lucrare sulle plus-valenze e non per passione, merita di andare in serie B. Il livello del campionato italiano è molto basso, ormai, a parte la solita squadra con la maglia a strisce, e ci vorrebbe davvero poco per realizzare quello che chiediamo da anni, e badi bene, caro Presidente, che qui nessuno chiede la luna: ci accontenteremmo di essere quel Torino Calcio che, come negli anni ’80, lottava per un posto nell’Europa minore e che campo dava l’anima fino al novantesimo e oltre anche se la partita era già perduta.

Se non c’è questo spirito, non c’è nessun Torino calcio. E se non c’è nessun Torino calcio, è altrettanto inutile che lei continui a fare il presidente di una squadra morta nel 2005 e che ormai è solo un pallido fantasma di quella fede indomabile che nei decenni scorsi ha sempre animato e identificato una città intera di operai, di lavoratori, di tifosi, di generazioni cresciute con una sciarpa al collo e una bandiera granata in mano. Caro Presidente, lei non potrà mai incarnare questo spirito. Lasci questa pallida controfigura di società, affinché qualcun’altro possa voler più bene a una squadra che da anni è patrimonio di un popolo intero.


Mirko Confaloniera, un tifoso.

5 thoughts on “Lettera aperta ad Urbano Cairo

  1. Disamina ineccepibile e condivisa da tutti i tifosi nn ipocriti

  2. Non c’è niente da dire è più GRANATA lui in un dito che Cairo

  3. Condivido in pieno ma non se ne andrà mai purtroppo e non troveremo mai nessuno con tanti miliardi a rilevarlo perchè Torino purtroppo è solo Juve d nessun imprenditore andrebbe contro questi gobbi agnellosi

  4. Ed invece se ne andrà volontariamente, i suoi giochetti finanziari sono al capolinea, il suo impegno nel Toro produrrà solo conti in rosso, altri buchi nelle sue non floride finanze checchè ne dicano i suoi giornalisti che si appresta a licenziare in massa (uno su quattro), è al capolinea il signor Urbano e lui lo sa meglio di tutti.

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