L'Espirito Santo,la guida del Wolverhampton - IL TORO SIAMO NOI
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L’Espirito Santo,la guida del Wolverhampton


Nativo di São Tomé, capitale della piccola isola, quasi omonima, di São Tomé e Principe, ex-colonia portoghese, Nuno Espirito Santo, venuto alla luce nel gennaio del 1974, un anno prima che la sua terra natia acquisisse l’indipendenza, quanto meno formale, dal Vecchio Mondo, è un 45enne che, pur di ancora breve corso, da allenatore ha in poco tempo accumulato esperienze di rilievo, che hanno portato la ricca proprietà del Wolverhampton a puntare su di lui, nell’estate 2017. Sodalizio che ha portato Nuno ad arricchire il proprio palmarès di un’immediata promozione in Premier League, categoria che ai Wolves mancava da sei anni. Anche grazie a una società in vena di investimenti, che ha arricchito la compagine giallonera di elementi del calibro di Rui Patricio e Joao Moutinho, entrambi già nazionali portoghesi di primo piano, oltre a nomi più giovani come Ruben Neves, Diogo Jota (entrambi già con lui al Porto), Willy Boly, Raul Jimenez, Nuno, il cui contratto nel frattempo era stato esteso (portato dal giugno 2020 a quello del 2021 il termine) porta i neopromossi “Lupi” a un insperato settimo posto in Premier, lungo una stagione costellata di successi (vittorie contro Chelsea, Arsenal, West Ham, Tottenham, Everton, arricchite da pareggi con entrambi i titani di Manchester).

Prima del suo percorso virtuoso in Terra d’Albione, Nuno si era tolto anche diverse soddisfazioni nel Continente: secondo posto, alle spalle del Benfica, nel 2016/17, alla guida di quel Porto i cui pali, pur da portiere di riserva, difese da giocatore, tra 2002 e 2004, e, ancora, tra 2007 e 2010. Raggiunti gli ottavi di Champions League, carnefice di Nuno e del suo Porto è un club di Torino, in questo caso la Juventus, che elimina i “Dragoni” biancoblù con una doppia vittoria (0-2 a Oporto, 1-0 allo Stadium). Prima ancora, nel 2014/15, Nuno, proveniente da due stagioni, al di sopra delle aspettative, sulla panchina del piccolo Rio Ave (che portò alla finale di entrambe le coppe nazionali portoghesi, la Taça de Portugal e la Taça de Liga, e alla qualificazione in Europa League, per la prima volta nella storia del club), guidò il Valencia, conquistando una quarta posizione in Liga, con le “Arance” qualificate ai playoff di Champions. Prima ancora allenatore dei portieri, per un biennio (2010-12), subito dopo il ritiro dal calcio giocato, tra Malaga e Panathinaikos, Nuno, da giocatore, ha vestito anche le casacche, tra le altre, di Dinamo Mosca, Osasuna, e Vitória Guimarães.

Insignito dall’Università di Wolverhampton, lo scorso 4 maggio, del Dottorato Onorario in Scienze dello Sport, Nuno ha conquistato tifosi, ambiente e addetti ai lavori con un calcio equilibrato, attento a non soffocare nelle dinamiche tattiche le velleità dei giocatori più talentuosi (lo testimonia la coesistenza in campo di due “fini dicitori” come Ruben Neves e Joao Moutinho), senza dimenticare l’attenzione alla retroguardia (quinta miglior difesa della scorsa Premier, 46 reti subite in 38 gare, alla pari con l’Everton). Il suo modulo di riferimento spazia tra il 3-5-2 e il 3-4-3, propendendo, anche per via della rosa a sua disposizione, per quest’ultima soluzione. Proprio come il Mazzarri di oggi. Non particolarmente simile a quello granata il suo tridente, talvolta con Jota falso nueve, arricchito da un Traoré ala classica, e, ora, da una prima punta più tradizionale come Cutrone (che si giocherà il posto con un “bomber di movimento” come Raul Jimenez); Neves “fa il Baselli”, Moutinho “fa il Rincòn” (ma, senza nulla togliere all’ottimo Tomàs, con un’altra caratura tecnica, ancorché senza l’impatto in termini di grinta e palloni recuperati da parte del venezuelano), Dendoncker reinventato difensore a destra, dopo gli anni da mediano all’Anderlecht, la soluzione tattica più peculiare del suo repertorio. Finora.

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