Cairo:”Immobile voleva andare via,critiche ingiuste verso di me”

Cairo:”Immobile voleva andare via,critiche ingiuste verso di me”

Il 2 settembre 2005 Urbano Cairo diventa presidente del Torino, dopo che il club era fallito e rinato grazie al lodo Petrucci. Cairo rilevò la società dopo una trattativa con l’imprenditore Luca Giovannone, uno dei lodisti. Il neo presidente si presentò con la ferma volontà di rilanciare il Toro. Affidata la squadra a Gianni De Biasi, la squadra riuscì ad ottenere la promozione in serie A attraverso i play-off. Tra i protagonisti di quella stagione il portiere Taibi e Alessandro Rosina, miglior marcatore con dodici reti.

Dopo i primi 15 anni da presidente del Torino, Urbano Cairo ha parlato oggi a La Gazzetta dello Sport del suo rimpianto più grande: “Immobile, andato via dopo un solo campionato al Borussia. L’avrei tenuto ma non mi è stato possibile anche perché era nostro solo al 50 per cento e lui voleva essere ceduto, voleva andarsene. Il colpo è stato Maksimovic, preso a pochi milioni e venduto a mega cifre al Napoli. L’affare modello? Direi Belotti. Per quello che ha dato non solo come rendimento e gol ma come atteggiamento, generosità, valori. Esempio per i compagni, idolo per i tifosi, ispirazione per i giovani del vivaio”.

“Un ragazzo che ho apprezzato negli anni fu Oscar Brevi, il capitano della promozione. Dedizione e determinazione»

I ricordi più belli:«La vittoria per la A e quella nel derby, il San Mames. Poi quella partita che giocammo a Bergamo, 5-1 all’Atalanta, il week-end che era mancata mia mamma; e la prima pietra del Filadelfia». Certo, ci sono anche gli striscioni dei tifosi e le bacchettate della critica: «Alcuni giudizi mi paiono un po’ esagerati». Basta spolverare la memoria, prima che prendesse il Toro: «Sei volte in A e sei in B, cinque presidenti»

È un peso essere presidente? “Questo non lo definirei un peso,è piuttosto una responsabilità e uno stimolo a essere degni di quel passato, onorandolo con il ricordo e col massimo impegno per incarnare i valori del Toro. E ritengo che nei quindici anni della mia presidenza questo sia stato sempre fatto. Vede paragonarsi al Grande Torino degli Anni 40 o pensare di ripeterne le gesta sarebbe folle. Quella è una storia meravigliosa e irripetibile, oltre che tragica nella sua fine. Il Grande Torino va onorato ma non deve essere mai termine di paragone. Così come va ricordato con orgoglio il ciclo negli anni Settanta in cui il Toro tornò a vincere con grandi calciatori che hanno fatto la storia granata e del calcio italiano, da Pulici a Graziani, da Sala a Zaccarelli. Ma anche in questo caso parliamo di un periodo storico lontano. Il calcio di oggi è completamente diverso da quello dell’epoca. Oggi la forbice economica di introiti tra club, a partire dalla suddivisione dei diritti tv, è tale che diventa quasi impossibile per club come il nostro competere per vincere uno scudetto. A meno che non si trovi, per assurdo, chi decide di investire centinaia di milioni a fondo perduto, sapendo che non rientreranno mai. Ma non avrebbe niente a che fare con la gestione sana di una azienda, per quanto particolare come una società di calcio. Non esiste oggi in Italia un imprenditore che ragioni così. Il passato e il suo alone mitico però non deve paralizzare e neanche far screditare un presente comunque buono, deve semmai essere da stimolo, ma sapendo cosa in realtà si può raggiungere. Non voglio togliere i sogni ai tifosi ma neanche coltivare o diffondere aspettative impossibili. Una cosa solo posso promettere, il continuo tentativo di crescere e migliorare. E non si può dire che in questi quindici anni non sia accaduto“.

“Quando sono arrivato i tifosi mi dicevano: magari potessimo stare stabilmente nella parte sinistra della classifica. Per diversi anni lo abbiamo fatto. Non mi vanto per questo, è dove il Toro deve stare. Ma era quello che la gente voleva, così come il far tornare in alto il settore giovanile: ci siamo riusciti sia dal punto di vista dei titoli che dei giocatori prodotti. Il Toro per me non è mai stato un motivo di interesse o un biglietto da visita per altri affari. Quello che ho fatto per il Toro l’ho fatto per passioneper convinzioneper tradizione, sacrificando il tempo da destinare alla famiglia. Per questo quando lo lascerò sarà solo per lasciarlo in mani migliori delle mie”.

Cairo ha poi aggiunto di essere pronto a cedere la società se qualcuno più facoltoso di lui si presentasse: “Ora sono impegnato a ripartire e a seguire un nuovo ciclo che spero con Giampaolo e Vagnati ci regali soddisfazioni. Ma voglio chiarire ai tifosi che se in futuro dovesse presentarsi qualcuno con mezzi superiori ai miei e un progetto serio, sono pronto ad ascoltarlo. Però non intendo lasciare il Torino ai primi parvenue che si presentano. Ho sbagliato qualcosa? Certo, chi è che non sbaglia? Qualche presidente di altre squadre ha fatto meglio di me? Può darsi. Però vado orgoglioso di una cosa: 15 anni fa c’era un mondo molto diverso rispetto ad oggi. Ma il Torino non si è mai fermato davanti ai cambiamenti, andando al passo con i tempi. Diventando una società sana e moderna”.

2 Comments

  1. Roberto

    Ritengo presuntuosa l’ultima affermazione. Di moderno questa società non ha nulla visto che manca di un centro sportivo degno di tale nome, di uno stadio di proprietà, di un centro per le giovanili che non viene ristrutturato, di una dirigenza non all’altezza nei ruoli. E poi le basi per diventare un modello societario da seguire sono del tutto assenti….

  2. Roberto

    E se ad Immobile avesse offerto uno stipendio adeguato, una volta acquistata l’altra metà dai gobbi, probabilmente non sarebbe andato via visto che poi è ritornato e per lo stesso motivo ha preferito un’altra squadra

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