Urbano Cairo e il Torino, anatomia di un (lungo) fallimento - IL TORO SIAMO NOI
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Urbano Cairo e il Torino, anatomia di un (lungo) fallimento

Urbano Cario,presidente del Toro dal 2005

Il prossimo 19 agosto Urbano Cairo festeggerà quindici anni alla guida del Torino Fc, nato nell’estate del 2005 sulle ceneri del fallito Torino Ac. Diventerà così il secondo presidente più longevo nella storia del club granata, superando Ferruccio Novo (quello del Grande Torino) e avvicinandosi ai 19 anni di permanenza di Orfeo Pianelli.

Il bilancio

Quindici anni sono un periodo più che sufficiente per stilare un consuntivo. E i numeri dicono con chiarezza che il bilancio di Cairo è fallimentare. Non solo perché ha non vinto nulla, a differenza degli altri due presidenti citati prima: per tutta una serie di motivi, quei tempi non torneranno e sarebbe ingeneroso farne una colpa all’imprenditore alessandrino. Il bilancio è fallimentare perché in quindici anni il Toro di Cairo sembra ancora all’anno zero, logorato da una folle corsa a distruggere ogni dodici mesi quel poco di buono che era stato fatto l’anno precedente, sia sul campo che fuori. Dopo tre lustri la squadra gestita con piglio decisionista dall’uomo di Masio – che ricordiamo è anche proprietario di Gazzetta dello Sport e Corriere della Sera, della rete tivù La 7, di una catena di periodici e di una concessionaria di pubblicità – non è molto diversa da quella che nella primavera del 2006 riconquistò subito la serie A e fece sperare i tifosi granata in una vera rinascita in grado di riportarli agli splendori degli anni Settanta e Ottanta. Vale a dire una società “leggera”, senza struttura, senza proprietà immobiliari, che cambia pelle ogni anno, con pochissimi dipendenti e una dirigenza piramidale che risponde solo al presidente.

Risultati mediocri


In quindici anni di presidenza Cairo i risultati sportivi sono stati altalenanti: un paio di volte buoni, un altro paio di volte pessimi, in linea di massima mediocri. I piazzamenti migliori in serie A sono stati due settimi posti (nel 2014 e lo scorso anno), che sono valsi l’accesso ai preliminari di Europa League soltanto per le disgrazie altrui (il fallimento del Parma e la squalifica del Milan). Il paradosso è che, al momento, il quindicennio di Cairo passerà alla storia soltanto perché sotto la sua presidenza si è consumata la più umiliante e vergognosa sconfitta interna di tutti i 113 anni di onorevole storia del club: lo 0-7 inflitto sabato scorso dall’Atalanta che in queste ore sta facendo vibrare di rabbia e delusione le centinaia di migliaia di tifosi granata. Altri record l’imprenditore alessandrino non ne ha ottenuti.

La goccia


La figuraccia storica contro i bergamaschi, tuttavia, è solo la goccia che sta facendo traboccare il vaso. Perché da almeno un anno il presidente è nel mirino della tifoseria per tutta una serie di motivi, soprattutto promesse mancate, che affondano nei quattordici anni passati. E se è vero che fino a ieri l’altro nei club di sostenitori esisteva ancora una notevole quota di “Cairo boys” (come vengono sprezzantemente chiamati dall’ala contestatrice), oggi trovarne uno sarebbe un’impresa. Troppa è la rabbia, la delusione, la frustrazione che nel corso degli anni ha via via eroso i consensi dell’editore: inizialmente era stato accolto come il salvatore della patria e per questo ha goduto di un credito che nessuno ha avuto prima, e che invece lui stesso ha ormai dilapidato.

L’umiliante sconfitta con l’Atalanta rischia di essere un punto di non ritorno, perché d’ora in poi a Cairo non verrà più perdonato nulla e potrebbe venir ricordato unicamente come il presidente della disfatta interna più cocente di tutti i tempi. Non parliamo di Mazzarri perché, ammesso che concluda il campionato sulla panchina granata, a fine stagione se ne andrà. Mentre Cairo sembra avere intenzione di restare, ma per lui nulla sarà più come prima.

Al di là dei sette gol atalantini e dei carenti risultati sportivi, ecco un rapido elenco dei motivi per i quali il quindicennio di Cairo non può che venir archiviato come fallimentare.


Stadio Filadelfia

Dopo decenni di abbandono il mitico impianto del Grande Torino è stato ricostruito e riaperto il 25 maggio del 2017 ma il ruolo di Urbano Cairo è stato marginale, la maggior parte dei soldi li hanno messi gli enti pubblici e il credito sportivo. Ora il Torino Fc paga un affitto alla Fondazione Filadelfia per utilizzarlo come centro di allenamento e restano ancora da completare le due curve e da costruire la foresteria, le sedi della società e della Fondazione, la sala stampa e il Museo del Torino. Concepito come punto di forza per far rinascere il rapporto esclusivo fra tifosi e giocatori, come era una volta, il Filadelfia ora è quasi sempre chiuso al pubblico per timore di contestazioni.

 

Stadio Olimpico Grande Torino

Il vecchio Comunale, dove il Toro vinse il suo ultimo scudetto nel 1976, è di proprietà del Comune di Torino e viene dato in affitto al club di Cairo a prezzo di favore. Nel 2025 scadrà il contratto e il presidente dovrà dire se intende acquistarlo (come ha fatto, ad esempio, l’Atalanta) oppure se dovrà essere negoziato un nuovo affitto, che stavolta sarà molto più elevato. Il progetto di una “cittadella granata” di cui si è tanto parlato (Grande Torino e Filadelfia distano poche centinaia di metri)  sembra finito nel cassetto.

 

Museo

Caso unico al mondo, il Museo della memoria storica granata e del Grande Torino è stato messo in piedi e viene gestito unicamente dai tifosi. E viene ospitato nel vicino Comune di Grugliasco perché la Città di Torino non ha mai messo a disposizione spazi adeguati. Ciò nonostante è considerato uno dei migliori musei sportivi al mondo, è gemellato con quello del Benfica, del River Plate e della Fiorentina e conserva alcuni dei cimeli del Grande Torino. Pezzi unici che farebbero la gioia di qualsiasi museo al mondo, non di Cairo.

 

Settore giovanile

Malgrado anni di promesse e la solida tradizione del club, la Primavera e le altre squadre del settore giovanile non rientrano fra i principali interessi del presidente, infatti sono in declino; anche se sotto la guida di Moreno Longo nel 2015 il Torino è riuscito comunque a rivincere un campionato Primavera. Emblematica la questione del centro sportivo Robaldo, alla periferia sud della città: da quando i terreni sono stati dati in concessione trentennale, nel 2016, non è ancora stato fatto un lavoro.

 

Struttura societaria

Urbano Cairo non ha mai fatto mistero di preferire una società “leggera”, ma dopo quindici anni l’organigramma del club è a dir poco scheletrico. E in pratica il patron decide su tutto, gli altri dirigenti non hanno praticamente autonomia. Con la partenza del ds Petrachi, andato a Roma l’estate scorsa, il ruolo è stato ricoperto dall’ex dirigente delle giovanili Bava, che non sembra avere né esperienza né autonomia decisionale per poterlo fare in serie A, infatti il mercato viene svolto in prima persona da Cairo secondo i suoi metodi: trattative estenuanti che durano anche mesi pur di spuntare un piccolo sconto e acquisti last-minute, pazienza se la squadra si è riunita un mese e mezzo prima e i tornei sono già cominciati.

 


Marketing e social

Dovrebbe essere il punto di forza per un presidente-editore, invece da sempre è una specie di Waterloo. Nonostante vent’anni di risultati scarsi (e nonostante Cairo, verrebbe da dire…) il “brand” Torino, come direbbero i pubblicitari, è ancora abbastanza forte e conosciuto in tutto il mondo. In un calcio sempre più globalizzato potrebbe essere un ottimo punto di partenza per promuoverlo, invece sia a livello complessivo di marketing del club, sia nello specifico sui social network, la società granata è un disastro. Un esempio? Su Instagram il Torino Fc ha 259 mila follower, mentre altre due società confrontabili per storia e numero di tifosi come Lazio e Fiorentina ne hanno rispettivamente 546 mila e 646 mila. Un club medio basso della Premier League come il West Ham ne ha un milione, il Valencia 778 mila. Se passiamo a Facebook, il confronto è ancor più impietoso: il Torino Fc ha 477 mila contatti, la Lazio 856 mila, la Fiorentina 2 milioni, il West Ham 2,3 milioni e il Valencia 3,3 milioni. Nessuna di queste squadre, va sottolineato, ha una storia leggendaria e tragica, comunque “vendibile” a livello mediatico, come il Toro.

 

Rapporti con i tifosi

Sono lontanissimi i tempi in cui Cairo era l’idolo dei sostenitori, tanto da essere ribattezzato papa Urbano I, e rispondeva direttamente a qualunque tifoso lo chiamasse al cellulare. Da alcuni anni con certe frange i rapporti sono molto tesi, soprattutto con gli spettatori della curva Primavera, dove si sono riuniti i vecchi ultras che contestano la sua gestione. Negli ultimi mesi la situazione è peggiorata, perché su quella zona dello stadio si sono abbattuti centinaia di Daspo della questura, quasi in maniera casuale; tanto che decine e decine di tifosi si sono rivolti ad alcuni legali per far ricorso al Tar contro il provvedimento di polizia e per provare a promuovere una class-action contro il Torino Fc per non aver garantito la sicurezza nelle stadio: contro Napoli e Inter proprio in Primavera ci sono stati ingressi “sospetti” di tifosi avversari che hanno provocato tafferugli e hanno portato ai Daspo. Guarda caso nei confronti della tifoseria organizzata contraria a Cairo.

Di Giorgio Ballario

Fonte Barbadillo

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