Ah, ecco servita la predica del giorno — direttamente dalle colonne del Corriere della Sera, firmata da Daniele Dallera, che improvvisamente scopre quanto sia “meritata” la vittoria del Torino e quanto Cairo sia un benefattore incompreso. Ci mancava solo l’aureola.
Ora, sia chiaro: il Torino contro il Napoli ha giocato una grande partita, e questo nessuno lo discute. Ma leggere che il problema del Toro sarebbe la “minoranza chiassosa” che osa criticare Cairo fa un po’ sorridere, o forse indignare, dipende dall’umore. Perché se dopo quasi vent’anni di gestione ci si trova ancora a parlare di “progetto da aggiustare”, “atteggiamento da migliorare” e “squadra che avrebbe bisogno di più consenso”, allora forse la critica non è poi così fuori luogo.
Dallera si lancia in un panegirico sugli imprenditori che “investono i propri soldi” nel calcio, dimenticando però di dire come li investono e con quali risultati sportivi. Perché il punto non è se Cairo spenda o meno, ma cosa ha costruito in vent’anni: zero trofei, pochi piazzamenti europei, e un eterno galleggiamento nella mediocrità.
E poi la solita difesa d’ufficio, quel “non aiutati dal sistema sportivo”, come se il Toro fosse una vittima delle circostanze. Ma chi è che da due decenni fa e disfa a sua immagine e somiglianza, scegliendo dirigenti, allenatori, strategie? Chi è che ha voluto mantenere il club in un limbo sicuro, senza rischiare troppo né ambire davvero a crescere?
E allora sì, Daniele Dallera, il Toro ha bisogno di consenso. Ma non di consenso servile. Ha bisogno di passione, di ambizione e di rispetto. E il rispetto, quello vero, si conquista coi fatti, non con i titoloni dei propri giornali.
Cairo si prenda pure la rivincita per un giorno — ma i tifosi granata, quelli veri, aspettano ancora la riscossa. Quella vera.

