Arrivavo da Corso Unione Sovietica a piedi sentivo già i miei fratelli al lavoro con i tamburi ed era poco dopo mezzogiorno.
Ogni volta sentivo una specie di urgenza che mi faceva quasi stare male: volevo già essere in Maratona, ma ancora dovevo camminare ed arrivare a passo svelto con il cuore in gola alla biglietteria per scambiare il vaglia telegrafico con il biglietto.
Sul groppone avevo già il solito viaggio di più di 200 kilometri fatti d’un fiato che non c’era tempo da perdere in autogrill.
Non mi interessava contro chi avremmo giocato (quella è una sottigliezza che avrei colto con l’avanzare dell’età ), ma sentivo un senso di appartenenza totale che oggi sembra un pò esagerato, ma so che era vero.
Undici maglie granata, numerate dall’1 all’11, niente nomi sulle spalle, ciò che contava era il Toro, punto.
finalmente entravo, come in un rituale facevo uno sguardo a giro di 360° e mi andavo a sistemare il più centrale possibile; cantare per il mio Toro non mi sembrava un’opzione, ma parte integrante dello spettacolo.
“eccolo qua il bresciano”, “ciao bastardi, puttana la juve ahah” pacche e risate e vino e canti… mancavano ore ma già scaldavamo le ugole.
Ogni tanto all’ingresso del Toro, mi passavano un estintore o una torcia (di quelle che si rubavano di notte ai depositi ferroviari sui treni contenute in involucri di plastica ad incastro) e mi sentivo meglio di Thor col suo martello. I derby si stava tutti pressati di lato perchè altrimenti non ci stavamo.
Avevo 17 anni e non sapevo che avrei ricordato con tanta nostalgia quei momenti fantastici.
Ora tutto è cambiato e da razionale pragmatico osservo ciò che è rimasto e resto senza parole ogni volta.
Sapete se c’è una macchina del tempo in offerta da qualche parte?
sarei molto interessato!
Claudio M.