“Il Toro di Cairo è sempre al risparmio”


Il Toro ha vissuto (ancora sta vivendo) una stagione desolante, triste di calcio orribile e spaventata dal terrore del disastro. Però alla fine in qualche modo ne è uscito, perché la vittoria sul Brescia, rotonda ma affannata, ha sostanzialmente eliminato il club di Cellino dalla corsa salvezza e soprattutto messo un cuscinetto rassicurante di sette punti tra sé e chi in questo momento retrocederebbe, ovverosia il Genoa. La probabile scappatoia verso la sopravvivenza non cancella tuttavia i disastri di un’annata che sul terreno lascia solamente delusione e rabbia, e una frattura profonda (e probabilmente insanabile) tra un popolo sfinito e il presidente Cairo: più nessuno, tra i tifosi granata, sopporta la sua taccagneria programmatica, la sua visione a cortissimo raggio, la totale incapacità di provare una qualunque empatia con un ambiente così particolare come quella del Toro, la sua retorica posticcia che irrita la gente.
La squadra ha assorbito questa tensione, se n’è imbevuta e se n’è lasciata liquefare. Mazzarri è stato travolto da queste ondate di negatività. Il povero Longo, subentrato a inizio febbraio, è
sopravvissuto aggrappandosi come a uno scoglio alle sue radici granata (è nato a Torino, è cresciuto nel Toro, lo tifa da sempre), grazie alle quali ha ottenuto un ampio credito di pazienza dalla gente, anche se il suo bilancio è misero (sei sconfitte, un pareggio, due vittorie), anche se il Torino nella classifica del girone di ritorno è ultimo con appena 7 punti e anche se il gioco (gioco?) proposto (proposto?) dalla squadra (squadra?) è spesso deprimente: il livello tecnico generale è modesto, il livello fisico preoccupante, il morale quasi strisciante. Lo spogliatoio dà l’idea di essere pronto alla diaspora e anche Longo ben difficilmente otterrà la conferma: il massimo che ha ottenuto da Cairo è stato il prolungamento del contratto di tre mesi, dal 30 giugno al 31 agosto.
Il presidente ha da sempre il pallino degli allenatori con un certo pedigree, che abbiano lavorato nei club importanti: negli anni ha scelto Zaccheroni, Novellino, Mihajlovic, Mazzarri, quando invece i migliori risultati li hanno ottenuto De Biasi e Ventura, finiti a guidare nazionali anche grazie all’ottimo lavoro fatto a Torino. Adesso a Cairo piace Giampaolo, con il quale ha già intavolato dei discorsi. E sta seguendo con molto interesse la situazione di Pioli. Vuole comunque un nome.
Il dirigente che si rivolse a Longo, Massimo Bava (ex responsabile del settore giovanile: con Longo in panchina vinse uno scudetto Primavera), è stato invece silurato in pieno lockdown: l’allenatore attuale non ha dunque le spalle coperte. Il nuovo corso dirigenziale è stato affidato a Davide Vagnati, in arrivo dalla Spal: toccherà a lui ribaltare la squadra come un calzino quando Cairo gli avrà comunicato il nome del tecnico a cui affidarla. I tifosi vorrebbero Juric, che incarna alla perfezione le passioni calcistiche del pubblico granata, il quale ha nel dna un calcio aggressivo, di pressione, tambureggiante, coraggioso, non troppo ragionato e che solo Mihajlovic, a sprazzi, ha dato loro in questi tre lustri cairesi, però il presidente sembra avere altri orientamenti e Giampaolo e Pioli lo convincono assai, anche per l’immagine più “pettinata” rispetto al croato del Verona.
Il problema non è tecnico, bensì ambientale. È l’incomunicabilità tra Cairo e la tifoseria, è la cesura definitiva di un rapporto che per anni si è basato essenzialmente su una reciproca convenienza: Cairo assicurava stabilità societaria ed economica a un club che veniva da una decennio e da un devastante fallimento, il Toro assicurava Cairo vetrina, popolarità e un posto di rilievo tra gli imprenditori che contano (e quasi tutti bazzicano dalle parti del calcio). Ma d’ora in poi, cosa accadrà? La desolazione è il sentimento più palpabile e lo stadio è gelido da pieno come da vuoto: per le partite a porte chiuse, Cairo non ha fatto mettere neanche una bandiera, ma in compenso ha risparmiato disattivando l’impianto acustico e i tabelloni luminosi, giusto per dare un’idea del suo modo di gestire le cose, sempre al risparmio (e di conseguenza, anche i calciatori giocano al risparmio). La squadra s’è in qualche modo rimessa in riga grazie alla tenacia di Longo e al contributo dei due giocatori fondamentali, Sirigu e Belotti. Che però non si sa quanta voglia ancora avranno di questo calcio triste, senza orizzonti. Freddo. Desolato. Desolante.
di E.Gamba (Repubblica)